31.1.08

-28 Considerazioni sparse

La prima considerazione sparsa è che, reso famoso dal successo riscosso alla buvette del Senato, il drink più bevuto in Italia negli ultimi tempi è evidentemente il Cervello.

La seconda considerazione sparsa è che, superata la prima, apparentemente chiusasi la fase della seconda, in corso di installazione la terza Repubblica, ebbene si attende con ansia la quarta. Perché, come insegnano i classici, la trilogia tragica si chiude sempre con una commedia. E se tanto mi dà tanto ne vedremo delle belle.

La terza e ultima considerazione sparsa riguarda l'opera e l'impegno politico e letterario di Fabrizio, un 22enne di Saronno. Fabrizio (le cui foto e il cui profilo potete consultare qui) è un paradigma. Nato sotto il Sagittario, amante dell'amore e odiante dell'ignoranza, Fabrizio dichiara un reddito compreso tra i 25,000 e i 50,000 euri che spende, tra l'altro, in cultura: crociere, viaggi all´estero, teatro, cinema, musica e libri.
Politicamente attivo e sessualmente versatile, Fabrizio ci pare espressione di un ceto medio un po' naif (tutta la sua naiveté si esprime in particolare nella scelta degli slip, realizzati con la camicia da notte della nonna). Finché, trovandosi a commentare un racconto di fantasia pubblicato da gay.tv, si scopre talento letterario, genio dell'innovazione, vetta dove le aquile non osano.
E così commenta il virgulto varesotto:

bè forse cè da dire una cosa importante...
la POLITICA attualmente ha proprio STUFATO in tutti i sensi...io penso ke berlusconi sia una persona umana come tanti è non hitler ( li allora si che c´era da preoccuparsi davvero!:P)
intanto precisiamo che io non sopporto le ideologie della sinistra in quanto "cercano di dare" più diritti hai gay solo ideologicamente per avere più campo è più interesse in fattore VOTO è REGIME POLITICO.
io non penso ke un silvio berlusconi chiuda ideologicamente una società oramai orientata,(sopratutto al nord), ad´una fetta affermata è finalmente allo scoperto.
noi abbiamo bisogno di più diritti questo è anche vero...ma non di certo è solo la sinistra che può darli.
io penso anche che non esista solo berlusconi ma anche persone più giovani che possono mettersi a livello molto più facilmente è quindi dare più spazio ad´argomenti come questi,che a mio parere è anche credo a vostro siano molto importanti,sopratutto per un vero futuro sociale che in altri stati già esiste è che da noi purtroppo è ancora un pò remoto...
kui concludo il mio sfogo dicendo che la CADUTA DI QUESTO GOVERNO è la COMPROVA e la DIMOSTRAZIONE che certa gente è meglio che rimane a casa a leggersi un bel libro didattico è a curare i nipoti...è non rovinare una società che già fà fatica a compattarsi ideologicamente è socialmente.
tanti salutiz...:p FabrY.

Ma osserviamo insieme il testo.
Ad una prima lettura salta subito all'occhio, anche inesperto, l'inversione apparente dell'uso dell'accento (“li...si” in luogo di lì e sì, ma “fà” anziché “fa”). Le “è”, tutte rigorosamente accentate, manifestano una ferma presa di posizione in favore della riqualificazione della congiunzione – troppo spesso sacrificata per la virgola – che viene addirittura equiparata al verbo, cioè alla parola per antonomasia. Questa interpretazione è confermata dall'unica “e” non accentata, presente infatti tra due sostantivi scritti in maiuscolo che l'Autore vuole chiaramente enfatizzare, prediligendo il contenuto senza lasciare qui spazio a considerazioni formali. Nella scelta dell'accento sempre grave delle “è” si può inoltre leggere una difesa dei dialetti meridionali e, quindi, una implicita dichiarazione politica di ostilità al Senatùr, personaggio folkloristico assai amato in quelle valli.
L'altra piccola rivoluzione proposta riguarda invece l'apostrofo che, da traccia dell'elisione – ridotta questa a contrazione (“cè”) –, assume valenza completamente opposta e rafforza le aggiunte eufoniche (“ad'una”, “ad'argomenti”).
Procediamo quindi ad un'analisi ravvicinata delle forme, e di come corrispondano armoniosamente al contenuto che veicolano.
Il primo verso, che sembra volere sottolineare l'importanza di quello che si sta per dire, si chiude improvvisamente con dei puntini di sospensione. Quasi a intendere “sì, forse qualcosa di importante da dire in fondo c'è, ma non è questa l'occasione”. E si parte quindi subito con una robusta dichiarazione di principio di valore universale: la politica ha stufato. Facciamo attenzione alla precisazione: ha stufato in tutti i sensi. Il participio “stufato” viene così usato in tutta la sua pienezza metaforica: la politica ci ha stancati, certo, perché non ha altro da offrire che uno stufato. Adesso, a riprova di questa rabbia che pervade lo scrittore, le regole della sintassi sono argutamente mandate in frantumi. L'uso delle “è” diventa cruciale, il lettore impazzisce, lo coglie un senso di spaesamento, di frustrazione: hitler, berlusconi, la sinistra, il regime politico. È il caos politico trascritto. La sintassi stessa si è fatta metafora.
Successivamente, tra società orientate e fette affermate allo scoperto, si toccano i temi della finanza (la chiusura di società per ragioni ideologiche, le partecipazioni aziendali (“fette”) nonostante gli scoperti di liquidità). Ma il punto veramente di interesse è il “pò remoto”. S'è già detto dell'abolizione dell'apostrofo per indicare l'elisione, nonché dell'uso rivoluzionario degli accenti. Osservando l'assenza delle maiuscole prima dei nomi propri dischiuderemo la metafora squisitamente fluviale del “pò remoto”: il futuro sociale, già realizzatosi altrove, è, visto da Varese, come un “Po remoto”, raggiungibile ma invisibile corso al quale ogni altro, invariabilmente, porta.
La formazione marxista dell'Autore, manifestatasi nei richiami politici ed economici, nonché in una filosofia della storia che vede proprio in quest'ultima metafora del corso obbligato una sua felice espressione, si arricchisce di una testimonianza movimentista della metà degli anni '90 con l'insolito “kui” (non un “cui”, occorre precisare, ma un “qui”), ma raggiunge il suo culmine nell'esortazione, quasi gramsciana, se soppesiamo attentamente quella difficoltà al compattamento che altro non è se non il risvolto dell'egemonia, ad acculturarsi. Esortazione che, con quel saluto burlone, pare già riflessione intima tradotta in atto, come a riprendere quel filo di cose importanti da dire interrotto per noi.

4.1.08

-29 La consuete rubrica letteraria

Scelta coraggiosa sul piano politico e di sicuro successo sul piano editoriale, Diletto e fustìgo è, prima ancora di arrivare in libreria, già scandalo. L’opera, che vede luce solo adesso che sono scaduti i diritti d’autore e che gli eredi hanno dato espresso consenso, è destinata a turbare gli animi dei più accaniti celebratori del Risorgimento e i palati di certi moralisti vittoriani nostrani. La struttura di quelli che si potrebbero definire dei diari romanzati è infatti la stessa che il De Amicis adottò in Cuore, ma si ha come l’impressione di leggere il negativo del libro più familiare e popolare dell’Ottocento italiano.
Sullo sfondo di un rapporto di apprendimento sì, ma tutt’altro che scolastico, si snodano anche qui nove racconti di esperienze e perversioni esemplari e simboliche degne del migliore Sade o Masoch. Senza drammatizzazione, senza stilizzazione alcuna, un insospettato De Amicis anticipa setting military gay nel Patriotta padovano, precede le finezze calligrafiche di Greenaway nello Scrivano fiorentino, esibisce i raggiri della doppia morale italica nel voyeurismo vogherese della Vedetta lombarda, sprofonda nel piacere masochista dell’autolesionismo in Sangue romagnolo e celebra il sadismo della castità platonica in Dagli Appennini alle Ande.
L’audace iniziativa dell’editore costringerà a rivedere quanto è stato scritto finora sull’autore, a ripensare lo stesso Cuore alla luce di un’opera che non esitiamo a dire gemella e a ricollocare certa letteratura italiana sommersa nel variegato panorama europeo dell’epoca.