30.4.09

Arguzia

I superkomunisti e i sinistri liberi hanno esibito le liste.

Kompagni e Kompagne, vorrei presentare un emendamento.
Cazzo, candidiamo anche il baratro della politica e l'abisso della storia.

...finisce che voto ferrando...

29.4.09

Fini segretario del PD

Veline a Strasburgo? "È tutta una manovra della stampa di sinistra."

Per favore, qualcuno mi dica che cosa sta succedendo ai redattori di Repubblica.it. Ultimamente hanno l'oblio facile. Già quoditianamente non sono il top, ma adesso sembra quasi che li diriga Licio Gelli.
A leggerli pare che i sempiterni comunisti stiano ordendo un complotto mediatico contro Berlusconi. Anche perché la notizia non c'è: Repubblica ripete Berlusconi.
Sarà il caso che qualcuno smentisca che a) FareFuturo è la versione elettronica della "velina rossa" e che b) Fini è la versione senza baffi di D'Alema.
In alternativa gradiremmo un po' d'ironia sul fatto che FareFuturo è, oramai, stampa di sinistra.

Grazie per l'attenzione.

P.S.: Cercansi ruderi nell'Appennino tosco-emiliano
atti ad accumular provviste e allevar maiali, in vista di...

27.4.09

Città puberali

{per la serie "perle dai porci", Alberto Flores D'Arcais su Repubblica.it}

"E' il week end più surreale nella storia di una metropoli abituata ad ogni emergenza, una città che nel suo filosofico convivere con la violenza, la polluzione e i terremoti, è sempre rimasta viva, chiassosa, allegra."

V'immaginate trovarsi una notte in qualche avenida di Città del Messico ed essere travolti da un'immensa polluzione? Altro che bukkake... questi sì che son problemi!
(ma poi, il filosofico convivere con la polluzione... che a Città del Messico tutti abbiano letto Foucault?)

26.4.09

-14 Giacomo Bonfiglio, musicista

Giacomo Bonfiglio le stazioni le conosceva tutte. La sua preferita era San Nicola – Tonnara: due binari arrugginiti sulla Palermo-Messina, una pensilina color zafferano adornata da qualche pala di fico d'india, il solito sottopassaggio, ma largo la metà, l'abside malamente intonacata della chiesa e due altoparlanti gracchianti, che a sentire lui li aveva messi lì Garibaldi e venivano nientemeno che dalla Leopolda di Firenze, quando l'avevano dismessa.

A San Nicola – Tonnara non c'era neppure la campanella che avvertiva dell'arrivo del treno, e i passeggeri scendevano su uno sterrato, scavalcavano il binario e s'imbucavano nel sottopasso per uscire. Ma per lui era l'apoteosi.

Innanzi tutto, il nome. Il nome era una cosa grandiosa. San Nicola fa forse ottocento anime – ma residenti, ché presenti manco la metà –, frazione di Trabia. Il nome completo è San Nicola l'Arena. No, arene romane nessuna. Assai assai se c'era, in cima a un dirupo, una torre normanna mezza diroccata, che prendeva il nome dall'albergo fuori paese. “Affioramenti ipogei”, li chiamavano ai beni culturali. Per i non addetti, quattro balatoni di tufo impiccicati con la sputazza. Per i locali, schietti ma solo mediante doppia figura retorica, “il Settebbello”. Ma siccome lì c'è la tonnara, allora San Nicola – Tonnara. Come Torino – Lingotto, ma senza Torino Porta Nuova.

E poi, la cornice. Marittima. Ma senza il mare, si capisce. A San Nicola la stazione stava sul retro, defilata. C'era la chiesa, la statale, il banchi del pesce, il campo di calcetto (“lo stadio”), quattro case rosa invecchiato con più gerani alle finestre che cristiani dentro, la straduzza, la battigia e poi, forse, anche il mare.

Ci si era fermato per la prima volta nel duemilaquattro, per affiggere l'orario estivo. Verso Palermo, un treno ogni ventitreesimo minuto delle ore pari. Verso Termini Imerese, un treno ogni primo minuto delle ore dispari. Le rette parallele che delimitavano l'universo ferroviario di San Nicola s'incontravano lì, in questi due estremi longitudinali. A Sud, nespoli interrotti da canne e oleandri, a Nord il Tirreno, invisibile e geograficamente avaro di tramonti sul mare.

Per lui era la sintesi del pubblico in Sicilia: in secondo piano, sgarrupato e utile solo a ore alterne. Un posto per gente che della pazienza ha fatto croce e virtù. A San Nicola-T. non c'era un ingresso, non c'era la biglietteria e manco lo schermo. C'erano solo il foglio giallo delle partenze e una macchinetta automatica un po' scassata, per turisti ostinati. In effetti, era una stazione vecchia. Giacomo Bonfiglio aveva un criterio tutto suo per distinguere il vecchio dall'antico: il secondo piano. Tutte le stazioni antiche hanno questo luogo un po' insensato che è il secondo piano. Che a giudicare da certi atrii sembra solo un elemento della facciata, ma poi capisci che ci sono delle stanze, e non puoi fare a meno di chiederti che ci sia dentro, cosa succede al secondo piano di una stazione?

A San Nicola-T. questo problema non si poneva. Il vero mistero era un altro. Bonfiglio ci ebbe a che fare un anno dopo, quando fu mandato lì a sistemare gli altoparlanti. Nel frattempo infatti si erano accorti della sua laurea e l'avevano promosso da manutentore ordinario a tecnico degli impianti acustici. E lui, modestamente, gli altoparlanti li faceva cantare. Ma quelli di San Nicola-T. no, perché non si riusciva a trovare dov'era la centralina per programmarli. Un bel giorno la voce meccanica che annunciava il treno regionale proveniente da Palermo e diretto a Termini Imerese in partenza dal binario due era scomparsa. Per fortuna era scomparsa anche la fermata a tràbia, che non si poteva sentire da quant'era stonata rispetto all'ovvia Trabìa – che si scrive con una sola b ma si pronuncia con due.

I cavi finivano nel cemento asfaltato del marciapiede e non c'era progetto che dicesse dove proseguivano. Quello che ci aveva messo mano l'ultima volta si era portato il segreto nella tomba e nessuno, ovviamente, ricordava dov'è che avesse lavorato. Era una bella gatta da pelare, e Bonfiglio ci mise qualche giorno ad avere l'intuizione archeologica che gli consentì di risolvere il problema, con i paesani che lo assillavano e lo prendevano cordialmente in giro, tanto loro a Palermo ci andavano in corriera, mica in treno. La soluzione al quesito erano, alla fine, i cessi chiusi a doppia mandata – quelli pure affioramenti ipogei, ma indisponibili agli amplessi. Quei quattro metri cubi di cemento a due passi dalla pensilina erano l'unica costruzione, e siccome pulirli costava le FS li avevano chiusi alla metà degli anni Novanta. Quando avevano automatizzato l'annunciatrice, i cessi erano l'unico posto dove poter mettere quella specie di computer che aveva solo il compito di comporre e fare partire il messaggio, controllato da remoto.

Così, visto che non stava scritto da nessuna parte né come fare né dove farlo, Bonfiglio si sbizzarrì, e ci mise il messaggio che aveva sempre sognato, finalmente composto nei giorni che gli ci erano voluti a trovare la centralina.

Ai paesani in trànsito annunciàmo

che il regionàle da Palermo Centràle

in questa tonnàra sta per sostàre

e per trabbìa proseguirà.

Al messaggio seguivano le campane della chiesa che battevano l'ora, quindi il fischio del treno. Il paese accolse quest'opera inutile con il godimento ironico con cui si celebrano i prodotti dell'ozio, il tecnico degli impianti acustici fu subito “il musicista”.

Si dimise quando la stazione fu dismessa. Oggi compone partiture per sintetizzatori vocali ma sul biglietto da visita c'è scritto “Giacomo Bonfiglio, battezzato musicista”.

17.4.09

-15 Ancora compiti per casa


Vergine (23 agosto - 22 settembre)
(per la settimana del 17/23 aprile)

"Un mio vicino parcheggia sempre il suo pick-up Chevrolet del 1967 ammaccato e arrugginito sulla strada di casa mia. E per questo lo ringrazio: il fascino sgangherato della sua macchina mi aiuta a tornare con i piedi per terra quando il perfezionismo mi toglie l'anima, o quando certi oggetti luccicanti e patinati cercano di ipnotizzarmi per farmi credere che solo loro possono essere considerati attraenti. Nella tua vita ci sono icone del genere, Vergine? Oggetti strani, ingombranti e anomali, ma a modo loro sublimi? Penso che nei prossimi giorni ricaverai molti più vantaggi del solito dal loro influsso."

Oggi parliamo del mio cervello. Un oggetto ammaccato, arrugginito e parcheggiato. Sicuramente strano. Spesso ingombrante. E sarebbe falsa modestia dire che non lo trovi a suo modo sublime. In una delle sei versioni del finale dell'incipit [-> qui], immaginavo un caffè versato direttamente sulle meningi, uno shampoo bollente a cranio scoperchiato. Metaforicamente, mi pare di averne assai bisogno.

Il mio cervello è lento e dorme tantissimo. È prevalentemente dedito ad attività di tipo onanistico e non soffre - ma per insensibilità, mica per benessere. Un cartesiano troverebbe la cosa problematica assai, vedendosi come indistinto dal proprio cervello. Io, che tutto sommato riconosco al corpo una certa rilevanza, potrei cavarmela meglio. Il fatto è che anche il mio corpo è prevalentemente dedito ad attività di tipo onanistico e, per sovrappiù, è anche causa della sua sofferenza, ottenuta mediante irripetibili secrezioni e irritazioni.

La cosa mi crea non poche difficoltà nel riuscire a tenere i piedi per terra, come potete facilmente immaginare. Tutto è fonte di richiamo, tutto è ipnotico. È tutto un "hmm, interessante!", "ah, però", "sì, figo". Non è facile vivere con un cervello completamente scriteriato. Si veda, ad esempio, il mio rapporto con questo stesso concorso.

1. Leggo del concorso, partecipo!, scrivo un incipit.

2. Va come va, si passa (venti giorni di ansia), poi casini e ritardi vari, sfavamento, la cosa finisce un po' nel dimenticatoio.

3. Gli organizzatori rettificano, scrivo freneticamente un racconto che praticamente non mi appartiene più (esteticamente, non giuridicamente) e da oggi riparte l'ansia dei voti, delle valutazioni, dei giudizi etc... la girandola delle incertezze (alla mostra delle banalità, perché, francamente, 6 testi su 21 valgono qualcosa, il resto è aria fritta).

L'aspetto patologico è il rivolgimento senza senso dell'ordine delle priorità. In fondo, medito, se uno finisce con lo scrivere un racconto nonsensical è perché si trova in una condizione di nonsense. Mi verrebbero in mente svariati altri sinonimi per descrivere questa cosa: limbo, impasse, ostacolo, smarrimento, confusione, perdita di orientamento... li scarto tutti. Il mio sublime cervello non riesce a trovare la chiave di volta. Non è un problema di fine, è un problema di struttura. Converrete, penso, che è un po' dura darsi una struttura quando a essere destrutturato è proprio l'organo che dovrebbe dare qualche struttura. Finisco con il subire completamente ogni aspetto della realtà che si presentae che, essendo più strutturato, si impone.

Insomma, è un gran casino. E, a dispetto della vulgata, il casino non è neppure particolarmente queer, essendo il queer metodologicamente perfetto. (Oggi poi ho scoperto che Eve Kosofsky Sedgwik è morta domenica, e non riesco manco a elaborare il lutto)

Proposte? Sono tutt'orecchi.

9.4.09

-16 Comunicazione non interna

-------- Messaggio Originale --------
Oggetto: [networkgiovanipisa] Lunga parentesi di sfogo
Data: Thu, 09 Apr 2009 23:40:12 +0200
Da: si.culo
Rispondi-a: networkgiovanipisa@googlegroups.com
A: networkgiovanipisa@googlegroups.com


Non vi turbate per l'oggetto: non ce l'ho con voi.
E' che io studio cose che mi fanno arrabbiare e, ogni tanto, ho anche bisogno di sfogarmi.
Quando riprendo in mano le conferenze politiche di Bourdieu poi, divento una furia.
Infine, come sapete, è stata una settimana dura (e siamo solo a giovedì!).

Leggevo or ora qualche mail arretrata che mi ero appuntata come "importante", e in particolare i comunicati di Rebeldìa e Rifondazione - su quello dei Collettivi non dico, ché il loro senatore ha commesso un "errore infelice" e tanto mi basta - sul nuovo Regolamento universitario che definisce i criteri per l'accesso agli spazi.
Spazi, già, quelli che ci hanno incasinato la settimana, fatto rinviare la pubblicizzazione a dopo Pasqua, impegnato varie ore e tolto la serenità per svariati giorni (almeno a me e, penso, a vonTrotta).

Spazi.
Ma quali spazi?
No, dico, perché semplicemente non ce ne sono.
Ora, qui stanno tutti a sommergere la rete e i giornali di comunicati stampa sugli spazi, ma mi pare che sia andato smarrito il tema che sta a monte degli spazi, e cioè piano edilizio e, evidentemente, piano didattico (leggi: proliferazione di corsi).
La cosa che mi fa tristezza non è il comunicato gioioso di Sinistra per...: loro hanno sempre difeso un'idea di legalità ben precisa, si sono fatti forti, da sempre, di regolamenti e norme, al limite di un'inutile legalitarismo. No, la cosa che mi fa tristezza sono gli argomenti di Sinistra per... e gli argomenti di quelli che contestano la posizione di Sinistra per..., cioè mi fa tristezza la qualità del "dibattito".
Io, si sa, sono materialista e venale. Ma mi sforzerò di immaginare, senza nessun riferimento alla realtà (...), l'applicazione di questo regolamento.
Perché, ladies&gentlemen, l'approvazione del regolamento è cosa dell'altro giorno, dunque penso che qualcosa dobbiamo dire: dopotutto la nostra è la prima richiesta dall'approvazione. Tacere non si può.
Immaginiamo, dunque, che uno voglia fare che so... un convegno. Un convengo, per giunta, sull'università (poffardicinbacco e arcipuffolina, che argomento iperuranico!).
Facciamo una necessaria precisazione: all'università non si parla di università. Oramai è assodato. L'università non è oggetto del sapere universitario. All'università si sintetizzano farmaci, si compongono fratture, si ingessano lavagne, si impartiscono codici, si classificano batteri, si glossano tomi, si calcolano infiniti ma non si fa università. In effetti, il posto più sensato per fare un convegno sull'università, oggi come oggi, è la sede di un quotidiano. Resta, è il minimo, la libertà di chi organizza di chiedere di poter svolgere all'università un dibattito sull'università. Dopotutto i libri si presentano nelle librerie o nelle biblioteche, non presso le tipografie - e questo è vero anche per i libri sulla storia della stampa.
In questo scenario ipotetico, poniamo che cinque persone si mettano alacremente al lavoro e, programma alla mano, inoltrino richiesta per ottenere uno spazio.
Lasciamo stare, per amor di formalità, le promesse informali. Atteniamoci ai fatti.
Tu chiedi uno spazio. Fai la tua bella letterina, lecchi tutto quel che c'è da leccare, metti in calce anche i nomi di qualche amico per "fare massa" e protocolli. Cioè, prima parli con ottantamila persone, poi loro ti prendono la lettera e te la portano all'ufficio protocollo, che dice che tu hai richiesto uno spazio [l'ufficio protocollo è una genialata della burocrazia: serve a sapere esattamente cos'è che è andato smarrito; io, nel 2009, vorrei consegnare una richiesta in portineria e vedermi dato in cambio, da chiunque, un numerino, se necessario, che dice ce l'ho consegnata, senza ufficio: diamine, se la perdono me ne accorgerò!].
Tu chiedi uno spazio, dunque. E' ufficiale: è protocollato!
E loro non te lo danno. Ma questo è un po' meno ufficiale.
Ma non perché siano cattivi - cioè, non solo. Loro non te lo danno perché lo spazio non c'è.
Apriamo una riflessione semantica: come direbbe Kant, lo spazio non può non esserci. In effetti, loro vorrebbero dire che "non ci sono spazi liberi" ovvero che "tutti gli spazi sono occupati". Bello. Cioè, se tutti gli spazi fossero occupati sarebbe anche una sciccheria. In realtà - a parte che se li occupi ti sgomberano - gli spazi sono impegnati. Ora non so voi, ma io quando l'Ateneo non sa usare la terminologia mi preoccupo. Vuol dire che c'è bisogno di umanist_!
Apriamo una parentesi subordinata nella riflessione semantica: impegnati è termine veramente nefasto; con il bilancio corrente, presto gli spazi universitari saranno impegnati presso qualche banca, probabilmente. D'altra parte, non si sono mai sentiti spazi impiegati, mentre sarebbe ancora più lugubre dire che sono già destinati. Si dice forse, cari uffici amministrativi, adoperati, cioè messi in opera? Mah, questo farebbe di Carmignani un soggetto lirico... Insomma, degli spazi universitari, come dell'essere - qui si chiudono entrambe le riflessioni - legetai pollakos [=si dice in molti modi; Aristotele, Metafisica VII, 1028a, 10], tutti imprecisi.
Ironicamente, è proprio nel momento in cui si sa che tutti gli spazi sono impegnati che si inizia ad andare per il sottile. Solo quelli in gestione all'ateneo lo sono; gli altri, che dipendono dalle facoltà, boh.
In questo frangente, infatti, il prezioso ufficio patrimonio ti informa che esistono altri spazi [teoria delle superstringhe applicata] e che si può provare lì. Per fortuna, il gentile personale degli uffici amministrativi, che ben conosce le distinzioni tra ufficiale e ufficioso, ti dice chiaro e tondo che si possono chiedere, per un convegno, le aule magne delle facoltà ma che, tolta Ingegneria che sta più o meno dove ha perso le scarpe il signore (poi di fare un convegno sui saperi umanistici a ingegeria... ok l'ironia, ma il paradosso no!), praticamente l'unico posto che si può chiedere è la sala di Scienze. Il resto è piccolo, o ci sono le lauree, o è peggio che andar di notte, o fanno corsi anche lì. Quindi di' al tuo preside di facoltà di chiamare l'altro preside di facoltà per avere Scienze.
I beg you pardon? La mi scusi? Parliamone: la posso chiedere o è un favore?
No, no, la puoi chiedere, ma se la chiedi sono 200 euro.
Ahhh...
Sorvoliamo, per decenza, sulla prontezza burocratica del mio preside di facoltà.
In sintesi: lo spazio c'è, ma è come se non ci fosse [primo mistero fenomenologico]. Perché il virtuale divenga reale bisogna passare per una forma di dono, cioè per il riconoscimento dell'onnipotenza del mio preside di facoltà, che se un'aula nella facoltà da lui presieduta non è riuscito a trovarla allora poi tanto onnipontente non è [prima aporia politica].
Il convegno, poi, lo famo in Domus Mazziniana, ché per far risorgere l'università ci vuole un sito risorgimentale - e per averla abbiamo mosso mari di lacrime e monti di preghiere.
Resta il laboratorio di preparazione al Convegno.
E' una questione di principio: io il laboratorio pubblico con gli studenti lo voglio fare all'università.
Riparte l'iter.
Per evitare il delirio di protocollare ogni singola richiesta per ognuno degli spazi, uno fa una richiesta per uno spazio in particolare "o per qualche altro spazio disponibile nei dintorni delle facoltà di Lettere e Lingue", che già è una formulazione surreale.
Siccome poi, nel frattempo, è stato approvato il regolamento, la gentile responsabile dell'ufficio ti chiede: "ma voi siete un'associazione riconosciuta?"
"Ehm... no, veramente siamo una banda di sfigati"
[risata] "Così però è più difficile, ci vorrebbe un rappresentante o quindici firme di studenti, voi quanti siete?"
"No, scusi, tra di noi gli studenti sono pochi. Cioè, facciamo venire uno da Stanford e poi mi servono quindici studenti o un rappresentante? Guardi, vedo di trovare la firma di un rappresentante."
"Sì, sennò vai all'uscita della mensa e raccogli quindici firme. Passi e ti do il modulo."
Io, manco a dirlo, vado a mensa, recupero un rappresentante, lo faccio firmare - "ma la mia firma va bene? non ci vuole uno di lingue?" "Eccheccazzo, l'avete fatto voi il regolamento e lo chiedi a me?" - e consegno religiosamente la richiesta, con la firma degli organizzatori più quella del rappresentante, ma la sua in rosso.

Facciamo, in due battute, la morale della favola, ovvero traiamo le logiche conseguenze.
a) Tutti quelli che non hanno duemila euro per chiedere il Carmignani devono solo trovare il tempo di andare a mensa e raccattare 15 firme. Possibilmente di studenti a loro noti. [primo assioma fenomenologico]
b) Se non hai tutto questo tempo, puoi minacciare di morte la madre di un rappresentante e farti firmare da lui la richiesta. Per sovrappiù, digli anche che se lui da solo vale quanto 15 studenti allora ha 14 gemelli morti. Non si riesce proprio a capire perché un rappresentante valga di più [seconda aporia politica].
c) Sinistra per... ha ottenuto quello che voleva perché è riuscita a trascinare tutti sul terreno tecnico, trasformado una questione tecnica aggirabile in un problema politico insormontabile e facendo passare in secondo piano la questione dell'edilizia universitaria. Se, infatti, uno non ha spazio per organizzare un convegno sull'università all'università nei giorni in cui la stessa è aperta, allora l'edilizia *è* la questione in ballo. Sinistra per... ha imposto il proprio ordine di priorità, {rimescolando le priorità reali [secondo mistero fenomenologico] a proprio vantaggio politico} {primo assioma pseudopolitico}.
d) Dopo ottocentomila occupazioni, tutto mi aspettavo dai Collettivi e da Rebeldìa fuorché la politicizzazione di una questione tecnica manifestatasi, quest'ultima, in un regolamento-colabrodo che rende tutto solo più cavilloso. [questo classificatelo da voi, oramai dovreste aver imparato]
e) Cari Collettivi, dio consumista!, va bene che l'Onda ha esteso pratiche di riappropriazione dal basso per l'accesso agli spazi generando conflitto al livello dei rapporti di forza (ahù-ahù-ahù: qualsiasi cosa ciò significhi, non si capisce granché, ndr), ma se siamo cinque sfigati e proprio non possiamo occupare Palazzo Alla Giornata per farci un convegno (che non è che è poco serio, è che non sai se poi i relatori si accollano l'occupazione, ad esempio... e, se sei in cinque, la portinaia di schiocca du' labbrate e ti lascia gemente sull'asfalto del lungarno) esattamente come straminchia facciamo ad accedere a 'sti spazi? [e nota che la risposta "chiedetelo a noi" non vale, perché pone un problema simile a quello di cui sopra con il mio preside di facoltà]
f) Cara Sinistra per..., da dove comincio?
1 - "il regolamento [...] costituisce la base su cui si può ispirare la concessione degli "spazi di facoltà"". Mi state prendendo per il culo. Ci sono abituato. Anche il vostro Senatore. [Anche se ci tengo a precisare pubblicamente che non ci siamo mai presi per il culo a vicenda, se dio vuole] Quindi non mi stupisco ne m'offendo. Però a Scienze vogliono 200 euro. Cos'è "la base a cui si può ispirare..."??? O fate un regolamento che vincola in questo senso anche le facoltà, o dite che le facoltà sono autonome. O fate regolamenti, o vi date all'arte e all'ispirazione. Le cazzate, con tutto il bene che potrei dire io dei cazzi, le cazzate NO. Chiaro?
2 - Esattamente, come dobbiamo farvi capire che esistono in questa città gruppi organizzati di persone che, siccome l'università è tra i principali proprietari di immobili capaci di ospitare iniziative pubbliche, non possono non rivolgersi all'Ateneo e che tali gruppi NON HANNO IL BECCO DI UN QUATTRINO? Per favore, non mi dite che vi serve la lezione sull'accesso democratico agli spazi, ché nel comunicato sembrate avere fin troppa dimestichezza con il concetto.
3 - vedasi la seconda aporia politica
4 - tanto la fattura per tenere aperta Sant'Eufrasia arriva al vostro rappresentante, che ha gentilmente firmato perché, per fortuna, abbiamo rapporti con molti rappresentanti (io, fra l'altro, probabilmente avevo un aspetto e un'incazzatura che avrei fatto fuggire di paura anche i quattro cavalieri dell'apocalisse). Il regolamento voi ve lo siete votato, voi ve lo fate rispettare. Io la portineria non la pago. Sono 17 euro. Per me li potete rimediare anche con un pompino a Migliarino, e ve n'avanzano.
Ah, no, sarebbe una forma di finanziamento a nero...
5 - Non ho capito: devo fare un corso per diventare portiere e pompiere? quanti crediti ci vogliono? devo prendere il ramo professionalizzante del percorso a Y? ma i prof, che fanno lezione, sanno spegnere gli incendi? e, soprattutto, ma secondo voi io mi faccio mandare in vacca un'iniziativa perché due balordi fanno danni? Io vigilo, minchia se vigilo, ma anche se faccio il corso finisce che se due balordi vogliono spaccare un cesso lo spaccano, mica posso reggerglielo quando pisciano! [direbbe un amico: ah, liquidi sprecati! più golden shower e meno scazzottate!]
6 - grazie, avevamo bisogno di un modulo, in effetti, per fare una domanda. Così, quando qualcuno dovrà fare una cosa non presente nel modulo dovremo convocare una commissione spazi che avanzerà una proposta che sarà discussa dal senato accademico per stabilire se quelle modalità e quei termini si configurano come tipologia a sé o possono rientrare in uno dei moduli esistenti... madonna cornuta (siamo tutti figli di dio...) ma possibile che nessuno sappia scrivere una richiesta chiara?
Evidentemente no. Anche perché voi addirittura rivendicate le convinzioni. Che, francamente, con tutto quello che si può rivendicare... cioè, nessuno ve lo nega, che abbiate la vostra convinzione, né nessuno - il cielo ce ne guardi! - ha intenzione di impossessarsene indebitamente, né v'è, nella convinzione, alcuna azione che possa essere rivendicata. L'unica che in questo Paese, con buona pace di Giacomo Devoto e Gian Carlo Oli, dell'Accademia della Crusca, di De Mauro e del collettivo Zanichelli, rivendica le proprie convinzioni è Daniela Santanché... capisco, ora, che vi ci vuole un modulo per fare la richiesta. Ancor di più capisco l'urgenza di un convegno che parli di saperi umanistici, dio merda!


ISTRUTTIVA POSTILLA SULLA GIPSOTECA
Una gipsoteca è un posto dove si espongono i gessi. Nel nostro caso, copie in gesso (a varie scale) di opere più o meno note, tavolta calchi di calchi (di calchi...). I gessi di cui parliamo sono quelli oggi esposti presso San Paolo all'Orto (che Orto, mi son sempre chiesto, se lì c'è un parcheggio? Sarà il caso la ribattezzino San Paolo in SUV).
Chi scrive quei gessi li conosce bene, e li ha odiati a lungo. Ammuffivano, inaccessibili, in quella che solo di recente è diventata l'aula studio della mia facoltà. Ricordo discussioni infinite e continui rinvii per il trasloco. Adesso eccoli esposti, ecco l'aula liberata per gli studenti.
La gipsoteca dipende, ufficialmente, dal Rettorato. Come si può vedere sul sito, vi si svolgono incontri regolarmente. Di fatto, la gipsoteca è concessa solo previo parere vincolante del Dipartimento di Archeologia - che possa crollare seppellendo tutte le cariatidi che ivi si conservano. La nostra prima richiesta, protocollata, è stata su quello spazio, perché ci sembrava simbolicamente assai significativo, nonostante le muffe da laboratorio di biologia. Ma no, non è adatto ad attività studentesche, tante volte si rompesse qualche prezioso calco in gesso... (o, forse, tante volte si disturbasse l'habitat delle muffe).
Non abbiamo mai ricevuto un diniego protocollato. Solo una risposta telefonica. Gentile, cordiale, quasi contrita, ma non protocollata. Non sappiamo se il Regolamento, non disponibile online, regolamenti anche la gipsoteca. Parrebbe di sì, eppure ci è stata negata.
In che altro modo far capire che, dove l'ufficiale e l'ufficioso si confondono, ogni regolamento è piegato dal più forte a far valere sempre il proprio privilegio?