21.6.10

Il "gran rifiuto" di Butler

Judith Butler rifiuta il Zivilcouragepreis al Pride di Berlino: "Devo prendere le distanze da questa complicità razzista"

Comunicato stampa di SUSPECT sui fatti del 19 giugno 2010.
Come Attivist_ berlinesi queer e trans di colore&alleat_, accogliamo positivamente la decisione di Judith Butler di rifiutare il Zivilcourage Prize conferitole dal Berlino Pride. Siamo entusiasti del fatto che una teorica così nota abbia usato il proprio status di celebrità per onorare le critiche di colore al razzismo, alla guerra, ai confini, alla violenza di polizia e all'apartheid. Apprezziamo in modo particolare il coraggio mostrato nel criticare apertamente e nel deprecare la vicinanza degli organizzatori alle organizzazioni omonazionaliste - concetto coniato da Jasbir Puar nel libro Terrorist Assemblages. Il coraggioso discorso di Butler testimonia la sua apertura a nuove idee, la sua disponibilità ad confrontarsi con il nostro lungo lavoro accademico e di militanza, che troppo spesso cade in condizioni di isolamento, precarietà, appropriazione e strumentalizzazione.
E purtroppo tutto questo sta accadendo di nuovo, perché le organizzazioni delle persone di colore che secondo Butler meriterebbero il premio più di lei stessa non sono menzionati neppure una volta dalle cronache di oggi. Butler ha offerto il premio a GLADT (www.gladt.de), LesMigraS (www.lesmigras.de), SUSPECT e ReachOut (www.reachoutberlin.de), eppure l'unico spazio politico menzionato dalla stampa è il Transgenia Christopher Street Day, un evento alternativo del Pride dominato dai bianchi. Anziché sul razzismo, la stampa si concentra solo sulla critica della commercializzazione. E ciò nonostante Butler stessa sia stata abbastanza chiara: "devo prendere le distanze dalla complicità con il razzismo, incluso il razismo anti-islamico". Butler rileva che non solo le persone omosessuali, ma anche quelle bi, trans e queer rischiano di essere strumentalizazte da quanti sostengono la guerra.
Il CDS (gli organizzatori del pride di Berlino, ndt), per bocca di Renate Kunast dei Verdi (che sembrava avere difficoltà a pronunciare il nome della vincitrice e ad afferrare i concetti basilari dei suoi scritti), ha presentato Butler come una critica determinata. Cinque minuti dopo questa stessa determinazione critica ha fatto cadere a terra la faccia dei presentatori. Anziché confrontarsi in qualche modo con il discorso, Jan Salloch e Ole Lehman non sono riusciti a fare niente di meglio che respingere candidamente ogni accusa di razzismo e attaccare i/le circa 50 queer di colore&alleat_ giunti in sostegno di Butler: "Potete gridare quanto vi pare. Non siete la maggioranza. E tanto basta". Il finale è stato una fantasia imperialista che ben si adattava allo sfondo della Porta di Brandeburgo: "Il Pride continuerà con il suo programma... Non importa che succede... Nel mondo e a Berlino... E' stato sempre così e sarà sempre così."
Negli anni passati, il razzismo è stato il filo rosso dei Pride internazionali, da Toronto a Berlino, così come del panorama gay nel suo complesso (si vedano le critiche delle/i teorici/che queer di colore Jasbir Puar e Amit Rai nel loro articolo del 2002 "Modern Terrorist Fag" [Terroristi Froci Contemporanei]). Nel 2008 il motto del Pride di Berlino era "You go' a problem or wha'?". L'omofobia e la transfobia erano ridefiniti come un problema dei giovani di colore che in apparenza non parlano un tedesco corretto, la cui germanità è sempre stata messa in dubbui, e che semplicemente non appartengono. Il 2008 è anche stato l'anno in cui il discorso sui crimini d'odio è entrato in misura significativa nella politica sessuale tedesca. La sua rapida assimilazione è stata agevolata dal fatto che l'omofobo odiosamente crminale era già noto: i migranti, già criminalizzati e incarcerati e persino deportati con una facilità crescente. Questo panico morale è reso rispettabile da pratiche mediatiche dubbie e studi presuntamente scientifici, in cui ogni caso di violenza che possa essere collegato a una persona gay, bi o trans (non importa che l'aggressore sia bianco o di colore, e non importa che il movente sia l'omofobia, la transfobia o l'intralcio del traffico veicolare) viene presentato come l'ultima prova di quello che già sappiamo: che i queer, e pare soprattutto gli uomini bianchi, siano i peggiori e che i migranti omofobi siano la causa principale di tutto ciò. Tutto questo, sempre più spesso accettato come verità, è in misura non piccola frutto del lavoro di organizzazioni omonazionaliste come la Lesbian and Gay Federation Germany e la gay helpline Maneo, la cui stretta collaborazione con il Pride ha in ultima analisi fatto sì che Butler rifiutasse il premio. Il loro lavoro consiste principalmente in campagne mediatiche che insistono nel presentare i migrandi come "arcaici", "patriarcali", "omofobi", violenti e inassimilabili. Cionondimeno, una di queste organizzazioni riceve ironicamente fondi pubblici per "proteggere" le persone di colore dal razzismo. Il Rainbow Protection Circle against Racism and Homophobia (Circolo Arcobaleno di protezione contro il razzismo e l'omofobia) nel gayrtiere [gaybourhood/neighbourhood] di Schoneberg è stato spontaneamente salutato dal capoquartiere con un aumento dei controlli di polizia. Da anti-razzist_, sappiamo tristemente cosa significa più polizia (LGBT o meno) in una zona in cui vivono anche molte persone di colore, soprattutto in momenti di "guerra al terrorismo" e "sicurezza, ordine, pulizia".
E' questa tendenza della politica gay bianca, quella di sostituire la politica della solidarietà, delle alleanze e della trasformazione radicale con una politica di criminalizzazione, militarizazzione e rafforzamento dei confini, a disgustare Butler, anche come riscontro alle critiche e agli scritti dei/lle queer di colore. Diversamente dalla maggioranza di altr_ queer bianc_, Butler si è esposta in prima persona. E' stata questa, per noi, la sua scelta di coraggio.

Yeliz çelik, Sanchita Basu, Lucy Chebout, Lisa Thaler, Jin Haritaworn, Jen Petzen,Aykan Safoglu and Cengiz Barskanmaz di SUSPECT
20 giugno 2010

[scusate la traduzione pietosa, ma l'ho fatto davvero un mezz'ora...]

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